La storia della musica insegna che molti sono gli autori ad avere subìto il fascino delle melodie di estrazione popolare. Andando a ritroso nel tempo, potremmo citare i casi di Luciano Berio con le sue Folk Songs; le sinfonie di Gustav Mahler dove sono presenti temi presi direttamente dai café-chantant dei primi anni del secolo scorso; le celebri Danze ungheresi di Johannes Brahms; molte delle melodie impiegate nei corali da Johann Sebastian Bach; fino a giungere ai primi esempi di canto monodico liturgico, le cui origini melodiche vanno spesso ricercate proprio nel repertorio popolare. Sempre sul filo di questo ragionamento, è tempo di domandarsi anche quali siano le caratteristiche secondo cui un canto possa dirsi “popolare”.
A costo di apparire scarsamente scientifici, ci sentiamo di affermare che la risposta vada soprattutto ricercata nel fattore emotivo che la musica veicola. Ciò, ovviamente, non significa che discipline quali la sociologia, l'antropologia o l'etnomusicologia non siano di aiuto, anzi, esse sono indispensabili per poter predisporre su un piano storico-culturale la materia in esame, sono però inefficaci quando diventi necessario addentrarsi pienamente nel materiale musicale. Ad esempio – per quanto si possa studiare e sviscerare a lungo le tecniche compositive del passato – resta comunque interrogativo su come certi grandi autori possedessero la capacità di evocare immagini anche attraverso un semplicissimo gesto sonoro. Ebbene, sembrerà strano – per alcuni blasfemo – ma è proprio in questa capacità evocante che risiede la forza di certa musica popolare; la forza della semplicità. Un tale patrimonio collettivo (seppure immateriale) deve essere conservato gelosamente, recuperato quando se ne possa perdere traccia e, affinché questo possa avvenire, non esiste migliore esercizio che praticarlo, così come si pratica il ricordo.
Francesco e Luigi Oliveto