DI SIMONE PETRICCI
Il Palio nel grande schermo, un connubio dagli esiti non molto soddisfacenti. Pochi e trascurabili i film a soggetto che pongono la Festa al centro della narrazione.
Solo Palio di Alessandro Blasetti del 1932, il primo nella storia del cinema a rappresentare la tradizione senese, affronta il tema con una interpretazione autentica e poche incongruenze: forse la meno tollerabile, quella dell’utilizzo nel recitato dell’idioma fiorentino al posto del parlato in senese. Si deve allo sceneggiatore autoctono Luigi Bonelli che ben conosceva il Palio e le sue dinamiche, il merito di un racconto filologicamente corretto seppure costruito su una trama sottile incentrata sulla classica storia di amore sviluppata sullo sfondo della rivalità fra Contrade. La scrittura di Bonelli riporta fedelmente i meccanismi intrinseci che regolano la Carriera, incluso quelli meno evidenti dei “partiti” fra Consorelle, mostrando l’autenticità della passione dei Contradaioli e l’attaccamento ai propri colori. Il film non è privo di incoerenze: la inesistente, nella realtà, contrapposizione fra la Civetta e la Lupa, indotta dalla scelta dei giubbetti con la resa cromatica migliore per la pellicola difficilmente “impressionabile” utilizzata all’epoca; la sostituzione di monta dell’ultimo minuto dentro l’entrone appannaggio del redivivo protagonista fantino Zarre scappato dall’ospedale; alcuni monturati che si sfilano dalla passeggiata storica per andare a bere in osteria; le scene più concitate della corsa con le nerbate ricostruite in teatro di posa sopra a cavalli finti. Tuttavia il lungometraggio di Blasetti resta ancora oggi la miglior fiction incentrata sul Palio e sicuramente una testimonianza significativa della cinematografia del regime interessata ad esaltare, fra squilli di trombe e adunate, le forme più autentiche di cultura popolare nazionale. Un sentimento profondo ed innato che si cogliere nell’ultima sequenza osservando il volto di Fiora, la fidanzata del fantino vittorioso Zarre, turbato da un insolito pathos che si trasforma in giubilo liberatorio una volta appreso l’esito positivo della corsa.
Non è dello stesso tenore il film di Luigi Zampa del 1957 distribuito nelle sale venticinque anni dopo, La ragazza del Palio. Anche qui ad emergere in superficie è la vicenda sentimentale fra il principe Pietro e la formosa amazzone Diana che diviene fantina. Altrettanta nota l’ispirazione del soggettista Raffaello Giannelli ripresa dalla commedia Rompicollo di Luigi Bonelli sulla mitica fantina Virginia vittoriosa nella carriera “alla lunga”del 1581 per il Drago. Soprannome che sarebbe stato attribuito l’agosto dello stesso anno dalla figlia di Bonelli, Rosanna, indossando il giubbetto dell’Aquila nell’unica monta femminile della contemporaneità e diventando, per l’occasione, anche controfigura della stessa Diana Dors durante la lavorazione del film. Una pellicola decisamente piatta, leggera e tipicamente infarcita degli stereotipi della commedia di genere, con riprese di esterni e panoramiche da cartolina in un vivido Technicolor diretto da un Giuseppe Rotunno non al massimo del suo stato di grazia.
Evitabile il bruttino e mal distribuito Corri come il vento Kiko di Sergio Bergonzelli del 1982 dove si registra una vera propria caduta di stile. Concepito come un prodotto orientato ad un pubblico giovanile fin dalla scelta di affidare la colonna sonora al gruppo Rocking Horse specializzato in sigle di cartoni animati, il film si avvale della partecipazione come attore (e anche coproduttore) di Leonardo Viti detto Canapino. La vicenda zuccherosa del rapporto fra una bambina e il suo cavallo destinato fra vicissitudini e imprevisti a correre e vincere un Palio straordinario, offre una carrellata di situazioni al limite del surreale confezionate in un filmetto low cost dilettantistico. Non aiuta a risollevarne la qualità estetica il solito ricorso a immagini di repertorio della corsa giustapposte a riprese in diretta durante le prove serali e ad alla voce fuori campo che commenta la carriera come uno speaker di competizione automobilistica. Davvero una pellicola di cui a malapena si ricorda l’esistenza, se non per qualche sporadico passaggio in seconda serata in emittenti private di terza fascia.
Si conclude il breve elenco dei film concentrati sul tema paliesco con la rilettura del classico shakeasperiano Romeo e Giulietta che sta alla base dell’altrettanto poco conosciuto mediometraggio per la TV Giulietta del Palio di Carlo di Carlo, andato in onda su RAI 2 nel 1983, tenue racconto di una amicizia fra due adolescenti appartenenti a Contrade rivali. La relazione fra i ragazzi si rivela più forte dei condizionamenti esterni che agiscono per mettere a repentaglio il loro rapporto, fra equivoci, gesti scaramantici consumati per danneggiare le parti ed accuse infondate. Per dare maggiore realismo vengono impiegati attori locali non professionisti che, nel loro genuino dilettantismo, non elevano la credibilità di un’opera sostenuta da una certa maestria registica nella quale l’autentico spirito contradaiolo che si voleva far emergere rimane in penombra.
Esistono inoltre film dove l’immagine del Palio viene utilizzata a contorno di vicende decontestualizzate dalla città e dalla sua tradizione solo per arricchire la spettacolarizzazione del soggetto raccontato. Lo fa il senese Franco Rossetti nella commedia Quel movimento che mi piace tanto del 1976, interamente girata in città, per criticare la mentalità provinciale dei senesi (allora) resistenti ad ingerenze politico amministrative esogene. Ma anche dando una personale interpretazione dell’associazione giubilo/orgasmo che ogni contradaiolo vive vedendo vincere la propria Contrada, stigmatizzata nella provocatoria ed allusiva scena di petting operata dal protagonista principale in prossimità dello scoppio del mortaretto durante la sequenza paliesca di repertorio inserita a sommo studio nel corpus della pellicola.
Oppure il Palio visto come bizzarra tradizione di una civiltà che resiste alla modernità secondo il pensiero del vecchio professore Jastrow nell’episodio della serie americana Venti di Guerra di Dan Curtis del 1983 ambientato inizialmente a Siena durante il secondo conflitto bellico, per il quale furono impiegate numerose comparse messe a disposizione dalle stesse Contrade, oltre che molti senesi identificabili nelle scene di massa che accompagnano la sequenza successiva alla fine della corsa, anch’essa ripresa da immagini di archivio.
PIAZZA DELLE CINQUE LUNE - Italia/UK/Germania - 2003
Donald Sutherland, Giancarlo Giannini e Stefania Rocca in una scena girata sulla Torre del Mangia
Risulta altrettanto inspiegabile, se non per mere finalità spettacolari, l’inserimento della tappa senese nella caccia al tesoro in cui si trova coinvolto Celentano decifrando la misteriosa mappa che sta al centro degli intrighi de Il Burbero di Castellano e Pipolo del 1986, attuando l’ennesima operazione chirurgica che vede accenni di corsa e uso improprio di comparse di una Contrada comunque consenziente, entrare a forza nel mezzo della storia come un corpo avulso.
Forse più comprensibile è l’inserimento forzato del Palio nei due film più recenti che hanno utilizzato immagini della Festa, Piazza delle cinque lune di Renzo Martinelli del 2003 e Quantum of Solace di Marc Foster del 2008, entrambi realizzati, stavolta, con l’approvazione del Consorzio per la Tutela del Palio, organismo nato proprio per vigilare sul corretto utilizzo e rappresentazione della carriera e delle Contrade non solo nelle produzioni audiovisive.
Nel primo si narrano i fatti che portarono al rapimento dello statista Aldo Moro attraverso una fantasiosa ricostruzione frutto delle indagini di Rosario Saracini, magistrato ormai prossimo alla pensione che svolge la sua professione proprio a Siena. Giustificando quindi un prologo tutto senese nel quale era inevitabile inserire riprese (realizzate in diretta della troupe il 2 luglio dell’anno precedente l’uscita della pellicola) della corsa di cavalli più entusiasmante del mondo. Nel secondo, afferente al genere Bond story, la scelta è ancora più scontata, vista la consuetudine di far iniziare tutte le avventure cinematografiche di 007 in contesti esotici o inusuali in giro per il globo per arricchire la qualità estetica di questi blockbuster indirizzati ad un pubblico popolare che soprattutto oltreoceano avrà apprezzato il frastagliato insert paliesco, montato alternativamente a rocambolesche sequenze di inseguimento e duello fra il noto detective e i suo antagonisti.
La conclusione, però, riporta alla premessa di questa veloce carrellata. Tentare di dare forma in maniera convincente al Palio, la Festa, le Contrade all’interno di film a soggetto è una impresa ardua anche per cineasti che conoscono bene questa tradizione e l’hanno vissuta personalmente. Molto meglio riservare al Palio il formato del documentario che si presta ad una ricostruzione più veritiera e realistica di quella che è la sua essenza più intima ed imperscrutabile a qualsiasi estraneo, regista, soggettista, sceneggiatore affermato che sia.